Atti del Convegno “Percorsi attraverso esperienze drammaturgiche e teatrali in ricordo di Benvenuto Cuminetti” (Bergamo, 24-25 maggio2002)
Bergamo,
giovedì 9 dicembre 2004
Facoltà
di Lettere
Presentazione Atti
Del bel volume di atti del
convegno del 2002 in ricordo di Benvenuto Cuminetti, ora edito dalle
edizioni
della università di Bergamo a cura di Annamaria Testaverde,
docente di Storia del teatro e dello spettacolo alla facoltà
di Lettere, e di Graziella Dolli, moglie di Benvenuto Cuminetti, sua
compagna e complice di vita teatrale, vorrei dire prima di tutto due
cose.
Il libro è una testimonianza: testimonianza di persone
che hanno condiviso per lungo o per breve tempo il percorso culturale e
umano di Benvenuto Cuminetti.
Ma è anche il documento di una
scuola, di una linea di storici del teatro e di uomini di teatro di cui
Cuminetti è stato uno degli interpreti più saldi
e coerenti.
A questa linea, che fa capo a Mario Apollonio, e che
corrisponde a una concezione del teatro - il teatro inteso come
categoria dell'esistenza -, a questa linea Cuminetti ha dato un
contributo originale notevolissimo, come emerge appunto dagli scritti
raccolti nel volume e divisi in quattro sezioni integrate tra loro: tre
tematiche e una di testimonianze.
Prima di tutto, allora, la
riflessione sul teatro e sulla pratica teatro come condizione della
esistenza della comunità, anche e soprattutto in un tempo -
quello degli ultimi quarant'anni - di grave crisi della communitas.
Su
questo aspetto si sono soffermati in ispecie gli autori dei contributi
della I parte. Sisto Dalla Palma, Ulderico Bernardi, Claudio Bernardi,
da angolature diverse e vicine, danno conto di tale vicenda. E della
relazione fra rito e teatro, che dà il titolo alla sezione,
rivelano tutta la problematicità e persino la
drammaticità nel presente. D'altra parte confermano la
necessità di non tradire tale relazione, che Claudio
Bernardi, in particolare, incardina nella nozione di coro, traendola da
Apollonio e riferendola all'impegno concreto di Cuminetti, per il quale
il teatro corale è attualità che impegna e crea
il rapporto fra individui, gruppo e istituzioni, e quello tra persone e
comunità. Il coro inteso come esperienza partecipativa e
responsabile.
Questi contributi mettono in campo molti dei problemi
affrontati da Cuminetti, che aveva una capacità
straordinaria di vedere (e spesso di anticipare) il nodo delle
questioni.
Fra queste, sempre nella linea teatrale di Apollonio,
l'importanza della parola teatrale che dà voce al coro,
cioè alla comunità permeata di conflitti,
perdite, attese; e ancora la ricerca di un nuovo linguaggio rituale,
nuovo perché antico, dove l'arcaico è inteso come
contemporaneo, secondo una indicazione di Victor Turner ricordata da
Ulderico Bernardi; la narrazione, la narrazione di sé e la
finzione narrativa teatrale, come trama del tessuto comunitario; la
possibilità di una drammaturgia rituale, capace di rivelare
il sacro alla comunità per reinventarla.
Qui si innesta la
visione storico-antropologica di Jean Verdeil, che rivà alla
matrice del legame fra teatro e rito (la possessione e i culti)
attraverso la nozione del mostrarsi nell'atto di diventare 'un altro'.
Verdeil fa emergere la disponibilità a modificare il proprio
assetto psicofisico quotidiano, a trasformarsi, a non essere se stessi
come necessaria e propria dell'attore, sia dell'attore-sacerdote e
dell'attore-iniziato delle società tradizionali, sia
dell'attore-artista delle società moderne, all'origine delle
quali, secondo Verdeil, sta l'implicazione pedagogica, e quindi gli
obiettivi trasformativi individuali e sociali del teatro scolastico, e
in ispecie del teatro di collegio gesuitico.
Il rapporto tra stato
cosciente, dominio razionale ed esperienza inconscia che, ancora
secondo Verdeil, fa da cerniera della condizione attoriale è
l'oggetto anche del breve intervento di Pilar Latini.
È
evidente, già in questa prima sezione, il riferimento a una
serie di titoli e di letture, che finiscono col formare una mappa delle
predilezioni di Benvenuto Cuminetti. È un filo rosso che in
più parti del volume fa affiorare una capacità
precipua di Cuminetti: quella di contagiare gli altri delle sue
letture, che erano immense e sempre aggiornate, e di condividerne i
frutti.
D'altra parte - come dice Antonio Martinelli nella sua
importante ricostruzione del percorso formativo di Benvenuto Cuminetti
- la lettura era intesa da Cuminetti come atto fondante della
coralità e della socialità, della relazione.
Altra prospettiva in cui Cuminetti si poneva, come emerge in
particolare dalla II sezione intitolata a teatro e letteratura,
è quella della centralità della parola, della
parola poetica. Questa convinzione pure si lega al magistero di
Apollonio, e trova nell'attività di Cuminetti uno sviluppo
costante, una fede appassionatissima, che è, a parer mio, il
forte del suo pensiero, e spiega anche il suo interesse per figure di
attori come Louis Jouvet, a cui Cuminetti ha dedicato pagine
bellissime.
Credo che sia stata questa la via maestra del
coinvolgimento di colleghi e collaboratori della facoltà di
Lingue lungo molti anni. Lo attestano in particolare il contributo di
Nina Kauchtschischwili (una grande artefice di quella che presto
è stata considerata 'la tradizione di studi'
dell'Università di Bergamo) e quello di Sergio Signorelli,
stretto collaboratore di Cuminetti nell'attività didattica
universitaria.
La Kauchtschischwili propone la biografia interiore di
un Michail Bulgakov essenzialmente uomo di teatro, e ne dispone
l'immagine in un campo di tensioni laceranti, tra la spinta verticale
della spiritualità russo-ortodossa che gli apparteneva e gli
ostacoli opposti a questo volo dal regime; una immagine interiore che
si chiarisce nel parallelo con il Molière raccontato
autobiograficamente dallo stesso Bulgakov.
Signorelli lavora con grande
finezza sul Savinio di Capitano Ulisse e sull'antitesi con il
Pirandello del coevo riallestimento dei Sei personaggi in cerca
d'autore al Teatro d'Arte: due risposte diverse alle domande sul
tragico (attuali nel 1925 e attualissime oggi), con lo sguardo fermo al
rapporto tra persona e personaggio, tra attori e spettatori.
In questa
direzione si muove fra l'altro anche Ilaria Crotti nel suo lungo
saggio, quando coglie nella scrittura de La locandiera goldoniana
l'istanza attoriale presente nel personaggio.
Le testimonianze di
Matilde Dillon Wanke (la quale, lo voglio ricordare, ha coordinato il
convegno di cui il volume raccoglie gli atti), di Rosanna Casari, di
Stefano Ghislotti, sulla ricchezza e la varietà di
iniziative e progetti di Cuminetti, sul coinvolgimento dei colleghi
nella riflessione attorno agli spettacoli presentati al Teatro
Donizetti negli anni della sua responsabilità artistica,
danno la misura di quello che Cuminetti seminava
nell'università e di come riuscisse a suscitare interesse
verso un'idea di teatro niente affatto letteraria - nel senso di
meramente testuale - ma invece profondamente radicata nell'uomo vivente
(cioè nell'attore), nella comunità, che era
appunto quella cittadina nella quale tanto l'istituzione teatrale
quanto quella universitaria dovevano avere un ruolo altamente
responsabile.
Infatti nella III sezione del libro e in molte
testimonianze si disegna la figura di Cuminetti organizzatore e
promotore di teatro: in particolare nell'analisi di Mimma Gallina, come
sempre lucidissima, e nel breve intenso intervento di Micaela Bertoldi,
l'assessora di Trento che ha collaborato con Cuminetti nel periodo
della sua attività al Teatro Santa Chiara di quella
città.
In questa parte dell'attività di Cuminetti
c'è la capacità di cogliere nelle istituzioni il
valore strutturante, anche politico, della comunità; e
dall'altra parte la capacità parimenti spiccata di agire
coraggiosamente nella proposta rivolta alla collettività.
Mimma Gallina mostra di Cuminetti questa autonomia e intelligenza nelle
scelte, la serietà impareggiabile nell'ascolto degli artisti
(e Ferruccio Merisi e Claudia Contin sono qui a testimoniarlo), lo
sguardo e l'azione mai demagogici o paternalistici, l'invenzione di
criteri e percorsi del tutto nuovi e in seguito molto imitati.
Qui,
davvero, il coro - che per Apollonio era rimasto un'aspirazione - trova
il suo inveramento. Lo si sente anche negli scritti di Roberto Cavosi e
di Gabriele Allevi, che con Cuminetti hanno avuto un incontro di segno
profondamente creativo. E in quello di Beatrice Gelmi che presenta il
Cuminetti attivo nella città dalle pagine de "L'Eco di
Bergamo".
Infine, insieme con il rapporto fra teatro e
città, nella stessa III sezione, c'è la questione
della formazione, la questione cruciale della pedagogia e quindi della
scuola, che ha nel testo di Pierre Voltz un contributo ulteriore alla
riflessione che questo importante esperto francese ha condotto
lungamente con Benvenuto Cuminetti. Mentre le testimonianze di Mafra
Gagliardi sulla ricezione del teatro nello spettatore-bambino, e quelle
di Walter Fornasa, il cui incontro con Cuminetti risulta
importantissimo per l'ideazione del percorso di studi in Scienze
dell'educazione di questa università, di Maria Grazia
Panigada e di Alessandra Mignatti sul teatro nella scuola dal punto di
vista degli insegnanti, ne mostrano gli aspetti applicativi all'interno
delle esperienze locali, e le indicazioni vitali in questa direzione.
Volendo guardare a questa raccolta nel suo insieme, quello che appare
non è solo il profilo di un uomo - anzi di una persona come
dice Anne Machet, pensando alla complessità etimologica del
termine - di una persona, dunque, formidabile; ma anche una vita
vissuta all'insegna della generosità: generosità
intellettuale (e vorrei dire intellettiva: 'dell'intelligenza') umana,
concreta fuori dell'ordinario. Una vita e un'opera davvero esemplari.
Benvenuto Cuminetti guardava con vivo senso di
responsabilità all'insegnamento di Storia del teatro e dello
spettacolo nell'università di Bergamo; e auspicava che la
continuità fosse salvaguardata e alimentata nella linea del
magistero di Apollonio e dei molti rivoli che di qui si sono dipartiti.
Spero che il lavoro condotto da Annamaria Testaverde e da me
costituisca un contributo al patrimonio che ha lasciato
all'università.
Ma voglio chiudere con una riflessione
personale. Quando mi propose di partecipare al concorso per ricoprire,
dall'a.a. 2000-2001, l'insegnamento che lui aveva ricoperto alla
facoltà di Lingue per più di trent'anni, e che
veniva bandito a contratto in vista del suo ritiro, avevo chiarissima
l'ineludibilità di ciò che mi invitava a
condividere, ma d'altra parte ero certa che qualunque idea di imitarlo
sarebbe stata velleitaria. Questo nonostante la radice comune (dato che
io pure, anche se indirettamente, in quanto allieva di Sisto Dalla
Palma mi colloco nella linea segnata da Apollonio alla
Università Cattolica), la sensibilità comune per
molti temi, l'antica e franca conoscenza, l'esperienza diretta maturata
a mia volta nella vita teatrale cittadina e nella gestione artistica e
organizzativa, grazie ai dieci anni di attività che ho
svolto al Centro di Ricerca per il Teatro di Milano.
Il primo obiettivo
che mi sono data, allora, è stato quello di mettere a frutto
l'eredità del suo insegnamento accogliendo le richieste di
tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo che mi venivano
dai suoi studenti.
Dal 2001 ho diretto nel lavoro di tesi una
quindicina di giovani allievi di Benvenuto Cuminetti: in tutti aveva
suscitato non solo un interesse profondo per il teatro, ma anche il
senso dell'avventura intellettuale e personale, e la serietà
del desiderio di conoscenza.
Nella mia prospettiva, che nel succedere a
Cuminetti nell'insegnamento universitario è prima di tutto
quella della responsabilità pedagogica e scientifica, questa
esperienza è stata di gran lunga la più sentita e
utile; e da parte mia - attraverso la cura e l'impegno verso i suoi
studenti - il più sincero omaggio a un uomo davvero
eccezionale.
Bernadette Majorana